Tuesday, March 3, 2020

Il mese della storia delle donne

Ma esiste in Italia? Stando a wikipedia direi di no. Mi sa che in Italia si celebra la festa delle donne l'otto marzo e basta. Ma voi che leggete, se ci siete, ditemi se sbaglio.

In ogni caso, qui è iniziato il Women's History Month. Come Febbraio è il Mese della Storia dei Neri, Marzo è il mese consacrato a celebrare e sottolineare il contributo delle donne alla storia e alla società. È necessario? Certo. Più che necessario, perché altrimenti il contributo degli uomini eclissa completamente quello delle donne, come il contributo delle persone bianche eclissa quello delle persone non bianche. Non perché i primi siano maggiori dei secondi, ma semplicemente perché godono di un privilegio di visibilità che almeno un mese all'anno si cerca di attenuare.

Ora, io mi trovo qui a cercare materiale per parlare di questo mese ai due minorenni della famiglia. E quando penso a loro, penso davvero ad entrambi, in modo diverso. Il Sig. Tenace, da maschio, deve imparare a lasciare lo spazio, a capire il suo privilegio, a non diventare né paternalistico né oppressore. La SignoRina deve capire su quali spalle possenti di donne poggia per fare i passi avanti nella lotta per una vera emancipazione femminile.

Cerca e ricerca, ho trovato una serie di bei libri per bambini in inglese, ma io vorrei tanto far loro conoscere le donne italiane, quelle che hanno dato un contributo speciale. Così stamattina, in preda alla sindrome premestruale che a me fa venire degli sbalzi di umore pseudomaniacale, ho pensato di far loro un libro* con semplici foto e citazioni delle donne italiane che per me sono significative.
Nell'elenco per ora ci ho messo le seguenti (ripeto, è assolutamente personale, voglio che mi brillino gli occhi mentre lo sfogliamo insieme):

Margherita Hack. Non solo per la scienza, ma anche per l'ironia.

Igiaba Scego. Ammirazione profonda.

Anna Magnani (ma quanto è tremendamente bella!?)

Samantha Cristoforetti. Non so perché ma mi mette in soggezione.
Forse per tutto quello che sa e per l'umiltà con cui lo sa.

Simonetta Agnello Hornby. Avvocato, madre, scrittrice.
(fimmina sicula, eccerto, la più affine)

Tina Anselmi. Devo dire altro?

Elena Cattaneo. Poche parole, molti fatti.

Alda Merini. Anche con la sigaretta.

Carmen Consoli. Poteva forse mancare?!

Rita Levi Montalcini, prima della pettinatura a schiaffo e con il sorriso.


Voi chi aggiungereste? Datemi spunti! Ho come l'impressione di aver dimenticato qualcuna di importante...Soprattutto tra le giovani!



*il libro viene stampato online come gli album di foto, solo che anziché metterci le foto dei bambini ci metto queste.

Tuesday, February 11, 2020

Ciliegie allo specchio

Che Amanda sapesse scrivere lo sapevo già. 
Quel che in lei però sorprende sempre è come riesca a creare una tale connessione tra immagini e parole: non so mai cosa venga prima, se un'illustrazione, un dipinto, una foto che l'hanno ispirata o il testo che lei compone. Sono racconti o sono quadri? La straordinarietà di Amanda è che arrivi alla fine e la risposta non ce l'hai.


Alieni allo specchio: Umanità confusa (Italian Edition) par [Bonaconsa, Amanda]


Ho letto finalmente il suo libro, Alieni allo specchio.
Letto non è la parola giusta perché l'ho divorato in due sere. Il Teodolindo mi passava la mano davanti agli occhi, pensando che mi fossi addormentata: "Ma non è possibile che tu stia ancora leggendo! Guarda che tra due ore quella là si sveglia (la SignoRina, ndR)!".
Ma come fai a mettere giù i racconti di Amanda?! Non puoi.

Alcuni mi hanno trafitto il cuore, e li ho riletti due volte. Altri mi facevano venire voglia di saltare righe per vedere come andavano a finire.

In conclusione, questa raccolta di racconti ha un unico difetto: il titolo. Altro che Alieni! Avrebbe dovuto chiamarsi Ciliegie allo specchio, perché uno tira l'altro e arrivi alla fine del cestino e non ne ce ne sono più e aspetti solo che l'albero faccia nuovi frutti.

Le temps des cerises di Elisabeth Davy-Bouttier.
E vediamo se Amanda scrive un racconto anche su questo.




Wednesday, January 29, 2020

Kevin e Hannah

Abbiamo scoperto con il tempo che il Sig. Tenace è, o è diventato, un divoratore di storie. Quelle raccontate, con lui che ti guarda dritto negli occhi e ti vorrebbe succhiare il resto della trama direttamente dal cervello.
In un'epoca in cui si incoraggia al massimo - e giustamente - l'accesso dei bambini ai libri, e più sono meglio è, il Sig. Tenace è un fervente sostenitore della tradizione orale.
Non che disdegni il racconto scritto, sia chiaro, ma il fascino della storia inventata, raccontata al buio della sua camera prima di dormire, con lui sotto il piumone, be', quel fascino lì non ha per lui paragoni.

Il punto è che, in questa sua passione, è diventato sempre più esigente. Prima gli andava bene una storia, punto. Poi ha iniziato ad elaborare le richieste: "Mamma, mi racconti una storia con un leone e un astronauta, magari ambientata in Spagna?"
E io sono lì, al buio, che penso solo ad andare a dormire, e mi devo inventare rapidamente una trama che abbia un inizio, un senso e una fine. 
A volte, santa donna, mi è venuta in aiuto Amanda, che involontariamente ha pubblicato sul suo blog storie che ben potevano adattarsi alla buonanotte e io le ho usate spudoratamente. 

Ma come dicevo, le esigenze di mio figlio aumentano con il tempo.
Alimentato dalla sua più recente passione per i grandi felini, ha iniziato a chiedermi di raccontargli una storia in cui un felino veniva salvato. Qualcosa di terribile, che faceva paura, ma che poi finiva bene.
Fu così che, lì per lì, giusto per salvarmi il culo per quella sera e non pensarci più, inventai la storia di Kevin e Hannah, due fratelli che abitavano in Zambia e che per caso si trovavano a dover salvare un leone da un bracconiere che lo teneva in gabbia in casa sua per poterlo rivendere sul mercato americano.
Kevin e Hannah hanno avuto un successo inimmaginato.
La sera dopo: "Mi racconti un'altra storia di Kevin e Hannah?"
"Chi?!?"

Uno dei leoni salvati da Kevin e Hannah e restituiti al suo ambiente naturale


Dalla sera la fame di avventure di Kevin e Hannah si è allargata anche al viaggio del mattino verso la scuola. 
Pian piano i due fratelli zambiani hanno preso più forma e carattere. 
Kevin ha 9 anni, Hannah ne ha 7. 
Kevin è più riflessivo, Hannah ogni tanto viene presa dal mostro della rabbia di fronte alle ingiustizie. Kevin va molto bene in bicicletta, Hannah ha sempre con sé un binocolo che le permette di vedere lontano. 
Con il tempo la loro fama di animal rescuers si è diffusa in altri paesi vicini e poi addirittura a livello internazionale. Ricevono regolarmente telefonate e email da bambini che vivono in paesi lontani e che segnalano animali ingiustamente catturati o rapiti. Kevin e Hannah valutano le richieste, ne parlano con mamma e papà, poi vedono se sia il caso di agire (ovviamente la risposta è sempre sì).  

Allora vista la dimensione che 'sta saga stava prendendo, ho pensato di approfittarne per rompere la maggior parte degli stereotipi con cui le storie per bambini sono spesso scritte in automatico. 
Kevin e Hannah sono neri, vivono con il papà e la mamma a Lusaka, città di più di un milione di abitanti. Sono benestanti, la mamma è imprenditrice e le capita di viaggiare per lavoro. Ogni volta che ricevono una richiesta di aiuto, Kevin e Hannah si siedono con i genitori che discutono se possono permettersi il volo per quattro persone in quella parte del mondo. Il fatto che il Sig. Tenace sia discretamente abituato a questi discorsi li rende particolarmente reali.
I bambini che contattano Kevin e Hannah sono femmine, maschi, alcuni piccoli altri grandi. Sono già stati in India, Cina, Brasile, Canada, Perù, Italia, Spagna, Namibia. 
L'ultimo viaggio che hanno fatto è stato in Giappone, chiamati da Kumiko, una bambina che si era accorta di un panda rosso in pericolo (ignoro se in Giappone ci siano davvero i panda rossi: ero in pullman in mezzo alla calca, è stato il primo animale che mi è venuto in mente). In mezzo alla storia ho buttato lì che Kumiko era in sedia a rotelle e il Sig. Tenace mi ha subito interrotto: 
"Ah, non me l'avevi detto prima!"
"No, prima non era importante saperlo, adesso che devono salire sulla collina, te l'ho detto perché lei non può. Però lei con il suo tablet dirà loro da lontano se vanno nella direzione giusta"
"Ah, giusto".


Ora, se qualcuno passasse di qui e leggesse di Kevin e Hannah e fosse interessato a farci una bella collezione di libri per bambini, ditemelo. Non voglio scriverle io, né disegnarle. Voglio giusto il copyright. Chissà che ci possa fare qualche soldo extra per pagarci un volo aereo su quattro.




Monday, January 27, 2020

Giochi serali e due fatti solo apparentemente scollegati

Con il sig. Tenace siamo entrati in quella fase in cui da genitori si ignora la maggior parte della giornata del proprio figlio. Come tanti suoi coetanei non racconta molto e uno deve mettere insieme brevi note e particolari lasciati trapelare qua e là per avere un'idea comunque molto vaga di come la propria progenitura abbia trascorso il giorno.
A  questo proposito, ci vennero in grande aiuto - ed è motivo per cui li condivido qui - due giochi di cui ho letto su un famoso blog americano. Entrambi li facciamo a tavola durante la cena.

Il primo si chiama Rosa, Spina o Seme. Ognuno può scegliere due tra le tre cose che danno il nome al gioco, a seconda di quel che gli è successo di particolare durante la giornata. Una Rosa per raccontare qualcosa di bello, una Spina se è successo qualcosa di brutto, un Seme se si attende qualcosa per l'indomani. Noi per facilitare il gioco abbiamo ritagliato dei foglietti con disegnati sopra rose, spine e semi e li teniamo in una scatolina che mettiamo sul tavolo alla fine del pasto. Ognuno ne può pescare due. E poi si inizia a raccontare.

Il secondo gioco si chiama Tre Cose. Ognuno deve raccontare tre cose che gli sono capitate, ma di cui solo due sono vere, mentre la terza è una bugia. Gli altri devono indovinare qual è la bugia (però intanto si scoprono due cose vere capitate, eh che volpi?!). 

Stasera era il mio turno nel gioco delle Tre Cose.
"Allora, io oggi sono andata dal dottore, ho mangiato da sola nel mio studio, e ho pulito la cacca che la SignoRina aveva fatto sul pavimento della camera del Sig. Tenace"
"LA TERZA, mamma, è quella della cacca! Troppo facile!"
"Bravo Sig. Tenace, era proprio quella della cacca! L'ho sparata grossa, vero?"
Lui, ridendo: "Ma certo! Ma sai se l'avesse fatta davvero sul pavimento della mia camera?!?! Avrei SPACCATO tutto! E la SignoRina..  alla SignoRina avrei tirato #@#&!!!"
"Per fortuna era solo una bugia! Ah ah, che risate."

Voi che leggete l'avete già capito.
Se il Sig. Tenace è nella fase "non racconto niente", la SignoRina è in quella "Toh, guarda, io mio corpo è dotato di sfinteri!".
Stamattina si è davvero tolta il pannolone ed ha prodotto quel che ha prodotto sul pavimento della camera del Sig. Tenace, ad un metro dal bagno ma a meno, molto meno di un metro dal letto del fratello. Quando ho scoperto il misfatto, chiamata a celebrare dalla SignoRina al grido di "Mamma, guarda! Cacca!", ho ringraziato il cielo che il Sig. Tenace fosse già a scuola e, mentre pulivo, ho promesso a me stessa che glielo avrei rivelato non prima dei 18 anni.

E, dopo il gioco, così farò. Anzi, magari aspetto i 30 anni di entrambi, andiamo sul sicuro, va'. 
Bello 'sto gioco delle Tre Cose. Ha dei risvolti di interessante utilità familiare.

Tuesday, January 14, 2020

Divulgazione scientifica per 6enni

Stamattina eravamo sul binario in attesa della metropolitana, il Sig. Tenace ed io. Sugli schermi che annunciano quanti minuti mancano al treno scorrono le notizie ed una attira l'occhio del Sig. Tenace, che, figlio di medici, ha un'attenzione spiccata per le news scientifiche, specie quando riguardano epidemie o malattie terribili.
"Cos'ha detto, mamma?"
"Dicevano che negli ultimi anni tanti bambini sono morti di pertosse, cosa che non capitava più da molto tempo, perché i bambini sono meno vaccinati"
"Oh. Davvero ci sono bambini che non sono vaccinati?! Ma PERCHÉ?!?"
(lo so Sig. Tenace, sembra incredibile anche a me...)
"Perché i loro genitori credono che i vaccini facciano più male delle malattie... o perché pensano che quelle malattie non siano gravi... o perché sperano semplicemente che i loro figli non le prenderanno mai"
"Ma se poi le prendono MUOIONO!"
"Magari - speriamo! - non muoiono. Magari, se sono già abbastanza grandi e forti, guariscono senza problemi. Però magari nel frattempo hanno trasmesso la malattia a persone più piccole o più deboli che muoiono o che stanno molto male. Questo è il problema."
"Ma quei genitori li mettono in prigione, vero? Li devono mettere in prigione!"
"A volte sì, ma solo a volte. La storia è un po' più complicata".
"Ah."
E si ferma a pensare.
"Mamma?"
"Dimmi stella"
"Sai che io sono molto bravo a pattinare?"
E poi è arrivato il treno.

Conclusioni:
1. La divulgazione scientifica ai 6enni deve essere rapida e concisa.
2. Il Sig. Tenace ha un futuro da infervorato opinionista televisivo
3. È vero, il Sig. Tenace è molto bravo a pattinare.

Lewis Black, tra vent'anni avrai una spalla su cui contare


Nota in calce: no opinioni o commenti contro i vaccini, please. Non su queste pagine. Se no vi scateno contro il Sig. Tenace che, ripeto, ha sei anni ma ha argomentazioni molto valide.

Wednesday, December 18, 2019

Urlare il dolore

Ieri, come molti purtroppo, ho letto la notizia della donna di 22 anni, nigeriana, e del suo dolore urlato di fronte alla morte della figlia di cinque mesi all'ospedale di Sondrio.
Non sto qui a dilungarmi su quel che è successo dopo tra gli altri utenti presenti in ospedale. Lamentele, insulti. Pare che un totale di 15 persone - quindici - abbiano trovato opportuno esternare la loro insofferenza verso questa donna e l'espressione del suo dolore.

Amy Sherald. Mother and Child. 2016

Sui social media ho letto la reazione immediata di scandalo di tanti, tantissimi.
"È una vergogna", "Non ci sono più limiti in questa Italia! Adesso si insultano anche le madri a cui muore un figlio!", "Ma dov'è la pietà? La compassione?"
Ma a cosa serve quello scandalo? A cosa serve quella presa di distanza da certi comportamenti palesemente inaccettabili?
Non a molto altro se non a sentirsi giusti. A rassicurarsi sul fatto che noi, quella roba lì, mai la faremmo. Che noi in quella situazione ci saremmo comportati in maniera diversa. Che c'è un noi - persone non razziste - e un loro - razzisti senza cuore. A sentirsi un po' il fariseo di quella parabola che stando ritto in prima fila ringrazia il suo dio di non essere un peccatore sfigato e ignorante.

E se invece facessimo un passo oltre nell'analisi di questa vicenda?
Se invece di fermarci agli insulti pronunciati da alcuni, non riflettessimo su come in fondo questa reazione non è poi così sorprendente ed è forse solo la punta visibile di un immenso iceberg in cui le persone non bianche vengono trattate diversamente quando soffrono?
Se ascoltassimo le parole del Direttore del Pronto Soccorso di Sondrio che ammette che alla comunicazione del decesso
"Si è scatenata una reazione a cui non siamo abituati dal punto di vista culturale... (li abbiamo) lasciati scaricare un attimo... sono intervenuto sull'accompagnatrice che era la più agitata, sono riuscito a fermare un attimo l'emozionalità (?), si son calmate"
Queste sono le parole che a me hanno colpito di più, perché diciamocelo: queste potrebbero essere pronunciate da molte più persone. Prendere le distanze da queste è un filo più difficile.
"Lasciati scaricare un attimo"?! Ma sono l'unica a sentire qui una mancanza di compassione?
Se capitasse mai a me una cosa simile, vorrei che queste parole fossero pronunciate dal medico che mi comunica la notizia?!
Perché quella reazione di dolore ha dovuto essere fermata?
Solo perché non appartiene alla nostra cultura?
Perché anziché fermarla non si è accompagnata la donna in una stanza appartata in cui sfogare il proprio dolore?
Avrebbero fermato allo stesso modo lo strazio di una mamma bianca brianzola o forse con lei l'empatia sarebbe stata maggiore, perché culturalmente ci è più familiare?

Queste parole mi hanno venire in mente molte altre cose che conosco bene e che sono ghiaccio solido alla base di quell'iceberg di cui sopra:


  • Gli infermieri e i medici che non ricordano il nome e cognome dei pazienti non bianchi ("Dottoressa ha un nome cinese, vorrà mica che me lo ricordi?" Sì, minchia, sì).
  • Il tecnico di radiologia che nell'aiutare il paziente nero con dolore lombare a salire sul lettino della risonanza magnetica al verso di dolore di questi non chiede scusa, come invece non perderebbe attimo di fare se il paziente fosse bianco.
  • I medici che non hanno la stessa urgenza nel non far attendere troppo i pazienti in sala di attesa se questi non sono bianchi.
  • Il mio collega, che si dice di ampie vedute ma che appena un paziente con emicrania è nativo mette subito in dubbio che faccia abuso di alcool o droghe e, anche quando questo nega, dice "Con loro non si sa mai, magari non lo dice, ma..."
  • La mia amica senegalese che, incinta di 34 settimane e con nausea importante da due giorni, è stata rimandata a casa dal pronto soccorso per ben due volte, facendosi dire che forse esagerava con i sintomi. Era in pre-eclampsia. Ha partorito in urgenza il giorno dopo e per pochissimo non ci lasciava le penne.
  • Sempre la mia amica senegalese che qualche mese fa ha chiesto al suo medico di base di poter fare qualche esame perché troppo stanca (è una forza della natura, lei, chi la conosce lo sa). Il medico le ha detto di cercare di riposarsi. Poi un giorno è svenuta al lavoro. Aveva 8 di emoglobina. L'hanno trasfusa. 
  • La mamma nera con lattante in braccio, seduta di fianco a me al pronto soccorso, che aveva aspettato 11 ore senza che nessuno le desse una spiegazione e lei era rassegnata a non chiederne. Io che le dico "Vada a chiedere! Non è normale!" e lei che mi guarda e io capisco che quel suo sguardo dice "Tu puoi, tu sei bianca, tu puoi farti valere. Ti ascoltano in modo diverso". E ha ragione. (Poi per la cronaca è andata a bussare alla porta del triage).


E se gli episodi raccontati in modo aneddotico non sono abbastanza, so anche altro:

  • Il dolore viene trattato in modo diverso dal personale sanitario a seconda dell'appartenenza o meno del paziente ad una minoranza etnica. Non vengono, almeno non ancora, considerate le differenze culturali. Ad esempio, gli asiatici tendono ad esternare molto meno il dolore, sia fisico che psichico. Di conseguenza il sintomo non viene considerato adeguatamente ed è sottoposto a trattamento meno di frequente. Altre culture manifestano il dolore in modo molto più drammatico degli occidentali. I pazienti vengono di conseguenza considerati "esagerati" o come si è visto a Sondrio si crede talvolta che faccia parte di una tradizione. Si ha quindi la tendenza a trattarli meno. In sostanza, il messaggio è: se non soffri nello stesso modo in cui soffro io, non riesco ad immedesimarmi in te e alla fine non considero adeguatamente il tuo dolore. Si parla di racial bias implicito e inconscio. Ma pur sempre presente e che ha un impatto enorme. Enorme.
  • Per buttare lì qualche numero, negli Usa nel 2009, i pazienti ispanici avevano un rischio due volte maggiore (55% rispetto a 26%) di non ricevere alcun trattamento antidolorifico rispetto ai pazienti bianchi.
  • Ai pazienti neri con insufficienza cardiaca viene proposto meno il trapianto di cuore rispetto ai bianchi. Questo perché la decisione terapeutica si basa molto sulla discussione con il paziente e il medico, se bianco, tende a parlare meno e meno a lungo con pazienti non bianchi.
  • Negli Usa, la mortalità legata alla gravidanza è circa 3 volte maggiore nelle donne nere e circa 2 volte superiore nelle donne ispaniche rispetto alle donne bianche. Questo per la differenza di accesso a cure di qualità, relazione con il medico, presa in carico inadeguata dei sintomi. E qui ci si spiega l'esperienza della mia amica. 
Tornando all'inizio di questo post e per chiudere il cerchio, come dice un articolo scientifico recente
"queste ineguaglianze sono una manifestazione chiara di razzismo strutturale, una forma di razzismo che manca di un perpetratore identificabile, ma che è invece la codifica e la legalizzazione della inequa distribuzione di risorse e opportunità alla cui base c'è una gerarchia razziale radicata".
O, in parole più terra terra. Facile prendere le distanze da chi urla "fatela smettere" alla madre nigeriana. L'ha fatto anche la Meloni, ed è tutto dire. Meno facile è guardarsi dentro, noi tutti, soprattutto chi lavora in ambito sanitario e sociale, e scandagliare ogni nostro piccolo bias, ogni nostro pregiudizio implicito e inconscio, per eradicarlo e contribuire, piano piano, un passo alla volta, ad una società più equa. 



Precisazione
Gli studi purtroppo fanno riferimento alla realtà americana, perché ho cercato se esistessero dati relativi all'Italia ma non ho trovato nulla. Questo la dice lunga su quanto una riflessione sulla questione manchi e sia sempre più necessaria nel nostro bel paese. Se chi legge dovesse essere a conoscenza di studi, testi, articoli in materia sulla realtà italiana, li aggiunga qui sotto o me li mandi! Sono davvero curiosa ed interessata a leggerli. Grazie in anticipo.



Referenze:
-Anderson KO et al. Racial and Ethnic disparities in pain: causes and consequences of unequal care. The Journal of Pain (2009)
-Petersen EE et al. Racial/Ethnic disparities in pregnancy-related deaths - United States, 2007-2016. MMWR Morb Mortal Wkly Rep (2019)
-Handerman RR et al. Applying a critical race lens to relationship-centered care in pregnancy and childbirth: an antidote to structural racism. Birth (2019)

Wednesday, November 27, 2019

I fratelli Fan e la balena

Già il titolo del post potrebbe sembrare una fiaba, e di questo sto per parlare.
Di libri con fiabe bellissime.

Ho già avuto in passato innamoramenti letterari per alcuni autori di albi illustrati. Alcuni me li porto dietro da più di vent'anni (Lisbeth Zwerger, oh Lisbeth Zwerger!), altri come il "signor Oliver" (il sig. Tenace lo chiama così, è un bambino educato) sono più recenti.
L'ultimo è recentissimo, meno di un anno. Si chiamano Terri e Eric Fan, meglio noti come i Fan Brothers.
Galeotti furono i due libri regalati dalla marraine francese del Sig. Tenace a quest'ultimo. Che mica li scegliamo male, noi i padrini e le madrine! Ci aveva visto lungo, e infatti il Sig. Tenace ha immerso il naso in The night gardener ("Il Giardiniere notturno" nella versione italiana edita da Gallucci) e non l'ha più dimenticato. Poi ha sfogliato Ocean meets sky (it."Dove il mare incontra il cielo", sempre Gallucci) e l'ha colpito così tanto che ne ha stracciato una pagina. Mai capitato prima.

Io e il mio piccolo lettore siamo stati folgorati da illustrazioni che sono magnifiche, un misto di realistico e fantastico. I personaggi e le storie avevano sempre sullo sfondo un non so che, un immaginario familiare per me e soprattutto per il Sig. Tenace. Niente di dichiarato, ma un qualcosa di imprescidibile, essenziale.
Vediamo se lo notate anche voi che passate di qui:









Penso si sia capito.
I fratelli Fan sono canadesi, di origine cinese da parte di padre e nel loro immaginario la Cina è presente in modo inevitabile, tuttavia non protagonista. Esattamente come nelle loro vite.
Questo è il motivo, credo, per cui il Sig. Tenace ne è rimasto sconvolto ed affascinato allo stesso tempo. Ed io di rimbalzo.

Quando cerchiamo libri per bambini con protagonisti asiatici, e li cerchiamo di continuo perché ce ne sono pochi, troviamo per lo più libri ambientati in Asia, con storie tipicamente, e a volte purtroppo stereotipicamente, asiatiche. La bambina che festeggia il capodanno cinese, il bambino che ha i genitori che lavorano nei campi di riso, la famiglia che va a mangiare il dim sum la domenica,...

Il Sig. Tenace li legge, gli piacciono anche, ma vede una distanza rispetto alla propria esperienza. Non lo riguardano così da vicino.
I libri dei fratelli Fan invece lo toccano. La Cina è lì, dentro di loro, ed esce nel raccontare storie ambientate dall'altra parte del mondo. Tra i personaggi ci sono bianchi e ci sono asiatici. Ci sono scoiattoli e ci sono carpe. C'è le neve e ci sono le lanterne. Ci sono nonni che guardano dal cielo perché lontani e mamme che abbracciano i bambini che hanno sognato i nonni lontani.

E fu così che quando ci siamo trasferiti nella casa nuova, che ha un'enorme scala tutta bianca, con muri bianchi, abbiamo deciso di metterci un pezzetto dei fratelli Fan ed accogliere lei:


La balena bianca veglia su di noi, è il nostro cane da guardia. La SignoRina la saluta quando scende le scale al mattino appena sveglia, il Sig. Tenace mi chiede ripetutamente se secondo me, poi alla fine, la balena colpisce la nave o no.



Speranza in un post precedente mi chiedeva indicazioni su libri per bambini un po' più diverse, ovvero con protagonisti non tipicamente bianchi come capita nel 90% dei libri per l'infanzia. Inizio da loro, perché non potrebbe essere altrimenti e perché penso che i bambini di tutto il mondo si possano perdere tra i loro disegni. 
Sta per arrivare Natale e se non sapete cosa regalare a dei bambini, o anche adulti, attorno a voi questi libri potrebbero essere una buona opzione per rendere le nostre biblioteche familiari un po' meno uniformi in quanto a rappresentazione.