Thursday, December 20, 2018

Nell'acqua alta

La mia frequenza su queste pagine si è molto ridotta ultimamente.
Il punto è che mi trovo in una situazione che è meglio descritta con parole e immagini non mie.
Le parole sono di David Bowie

"Creativity is like wading out into the ocean. You wade out to the point where you can’t touch the bottom, you’re a little scared, and that’s where you do your best work.”
Photo Maude Touchette

E l'immagine è della bravissima Maude Touchette, di cui vorrei parlare prima o poi.

Il punto è che al lavoro sono in un punto in cui non so bene cosa sto facendo. Sono al largo, non tocco più con i piedi da un bel pezzo, ma gli altri attorno a me pensano che io in realtà sia ben appoggiata al fondo del mare e mi spingono ad andare oltre. O forse, alcuni, sanno bene che non tocco, ma sanno anche che si deve passare da quel punto per esplorare il mare aperto, perché loro ci sono già passati. Non so quando sia capitata 'sta cosa, direi più o meno al ritorno dalla maternità, qualcuno deve avere schiacciato l'acceleratore e io non me ne sono accorta.

Non parlo spesso del mio lavoro, la ritengo una cosa privata e penso che, essendo un campo di nicchia, interessi a poche persone. Il Teodolindo d'altra parte mi conferma che non frega un cazzo a nessuno di quel che faccio è un argomento un po' noioso per i più... Mi occupo di neuroscienze, di genetica e di neuroimmagini. Faccio ricerca con una base molto terra terra perché resto ancorata ai pazienti. Dicono che questo lavoro sia in ambito scientifico e invece più lo faccio più penso che sia creativo ed artistico. Le basi sono ovviamente scientifiche e il metodo pure, ma lo spirito e il coraggio sono tutto fuorché scientifici.

Questo per dirlo con parole poetiche.

Per essere invece più prosaica, la verità in parole spicciole è che mi sento una cazzona che finge di sapere quel che fa ma che in realtà improvvisa, e annaspa, accennando un sorriso sulle labbra bagnate di acqua di mare. Poi speriamo che annaspando io prima poi riesca ad approdare su un'isoletta decente, e se quell'isoletta non fosse mai stata scoperta da nuotatori provetti o altri improvvisati annaspatori, be' mi bacerò i gomiti e farò forse finta di aver sempre conosciuto la rotta. Se invece dovessi andare a fondo, mi inventerò qualcosa.

Tutto ciò per spiegare la mia assenza. Non ci sono, ma ci sono.




Wednesday, December 5, 2018

Il toast, per caso

Ok, post al volo scritto unicamente per condividere con il mondo intero la scoperta casuale di una roba meravigliosa. Ché le robe meravigliose vanno condivise, no?

Una solita mattina di autunno, di quelle uggiose, con poca luce, reduce dall'ennesima notte insonne, il Teodolindo ed io ci apprestavamo a preparare la colazione per i figli. Con quei due neuroni funzionanti che oramai restano dopo l'anno trascorso, stanchi pure loro, schiaccio con la forchetta un dattero nella ciotola della SignoRina, per poi aggiungerci lo yogurt naturale. A differenza di noi genitori, la SignoRina non mostra il minimo segno di fatica, quindi richiede un notevole grado di sorveglianza costante. Fu così che, tra il tenere lei, fare attenzione che non facesse un bordello con lo yogurt, rispondere all'ennesima, urgente domanda del Sig. Tenace su chi vince tra l'anchilosauro e il dimetrodonte (non sono vissuti nella stessa epoca, quindi non potevano combattere, se ve lo steste chiedendo anche voi), dicevo fu così che spalmai la forchetta con il dattero sul mio toast al formaggio.
Caz.
È stata la prima reazione.
Però era tardi. Ho messo lo stesso il grilled cheese nel tostapane e mi sono preparata ad una colazione del cavolo.


Ennesima foto pessima, vuoi per il piatto incrinato,
vuoi per la luce infima delle 6 del mattino,
vuoi per il toast sbocconcellato.
Ho stabilito un nuovo primato. Foodblogger, spostatevi.


Invece, delizia. Goduria. Una delle robe più buone mangiate ultimamente. In assoluto il miglior grilled cheese mai assaggiato. Il punto è che per puro caso avevo usato del cheddar affumicato, quindi molto saporito, che faceva un magnifico contrasto con il dolce del dattero. Da allora i datteri al mattino finiscono di proposito metà nello yogurt della piccina e metà nel mio toast.

Allora, adesso ascoltatemi. Fatevelo e poi me ne parlate.

Quindi, prendete del buon pane in cassetta, tagliate a fette del formaggio dal gusto deciso, perfetto se affumicato: io andrei di gruyere, o una toma stagionata, o anche scamorza affumicata.
Spezzettate un dattero (uno solo, non di più) sopra al formaggio e richiudete il toast.
Grigliatelo nel vostro tostapane e accompagnatelo con un buon caffè.

E buona giornata, lo sarà sicuramente.




Wednesday, November 7, 2018

Quelli che i libri...



Ieri accompagno a scuola il Sig. Tenace in metropolitana, come sempre. Lì  attaccati al palo, pigiati da mille pendolari che vanno in centro, gli dico:
"Domani, quando vengo a prenderti, vieni con me in biblioteca?"
Lui, quasi urlando dall'orrore della proposta: "Nooo, non mi piace la biblioteca!". Lo dice sottolineando con disgusto il "non mi piace". Gli altri ci guardano, pensano che debba avergli proposto di andare dal dentista.
"Ma come?", dico io "Mi sembra proprio che ti piacciano i libri!"
"I libri mi piacciono. Non mi piace restituirli."

E ammetto che come ragionamento ha una sua logica.

Ora, andiamo in biblioteca perché mi sono stufata di non leggere. Non voglio auto-rigirarmi il coltello nella piaga, ma da un anno a questa parte non si dorme e visto che io leggevo prevalentemente prima di andare a dormire, l'atto della lettura è svanito con quello che di solito lo seguiva.

Ma adesso basta. Si deve ricominciare. Ho sul telefonino una lista di libri che mi sono segnata da mesi, ogni volta che ne sentivo parlare alla radio, o ne leggevo su blog amici (Amanda, ti fischiano le orecchie?), o su facebook.

In cima alla lista stanno due tomi:
Résultats de recherche d'images pour « Marx et la poupee »

Mi ha incuriosito un'intervista all'autrice, di origine persiana trapiantata in Francia, e mi è poi bastato leggere questo frammento, in cui l'autrice si riferisce alla sua lingua materna, il persiano, per volerlo avere assolutamente.

"La petite fille comprend qu’ici, il ne sert à rien de le parler. Personne ne lui répondra. Alors il se passa quelque chose d’étrange : elle avala sa langue. Elle ferma les yeux et elle engloutit sa langue maternelle qui glissa au fond de son ventre, bien à l’abri, au fond d’elle, comme dans le coin le plus reculé d’une grotte."

"La ragazzina capisce che qui, non le servirà a nulla parlarlo. Nessuno le risponderà. Allora successe qualcosa di strano: deglutì la sua lingua. Chiuse gli occhi e inghiottì la sua lingua materna che scivolò in fondo alla sua pancia, ben al riparo, in fondo a se stessa, come nell'angolo più nascosto di una grotta."


Il secondo è questo:

Buy the book

Nicole Chung è una donna nata da una famiglia coreana e adottata da genitori bianchi in un Oregon estremamente bianco ed uniforme. E chi legge questo blog ha già capito perché io voglia leggerlo subito.

What did the child’s color matter, in the end, when they had so much love to give? It would be unseemly, ungrateful to focus on a thing like race in the face of such a gift. It wouldn’t have mattered to us if you were black, white, or purple with polka dots, they would tell their daughter over and over, once she was old enough to understand the story of how she came to them. 
Odd as that declaration would sound to me, every time, I would always believe them.

Quanto poteva contare il colore del bambino, alla fine, quando loro avevano così tanto amore da dare? Sarebbe stato ingrato concentrarsi su una cosa come la razza di fronte ad un tale dono. Non ci importava se tu fossi nera, bianca o viola a puntini, avrebbero detto alla loro figlia ripetutamente quando lei fosse stata grande abbastanza per capire la storia di dove arrivasse.  
E per quanto strana quella dichiarazione suonasse alle mie orecchie ogni volta, li avrei sempre creduti. 


In un solo paragrafo, due concetti così cruciali e così tossici nella narrativa dell'adozione: la mentalità colorblind e l'idea del figlio adottivo come dono.
Credo non ci sia bisogno di dire che, naturalmente, la ragazza capisce poi bene quanto invece la razza conti e quanto lei debba rifiutare di essere vista come un dono per i suoi genitori, rivendicando il suo diritto alla verità tutta intera, inclusiva di una storia complessa.

Quali altri libri devo aggiungere?
(per i libri in italiano, segno e recupero la prima volta che rientro in Italia)


P.S. Le traduzioni come al solito sono mie. Abbiate pietà...

Wednesday, October 24, 2018

Gli uomini che portano

Quando è arrivato il Sig. Tenace ormai tre anni fa, ho iniziato a notare che i papà canadesi erano alquanto diversi da quelli italiani a cui ero abituata io prima di lasciare l'Italia, ormai sette anni fa. Di loro voglio parlare in questo post, perché sono loro che frequento da quando il Teodolindo ed io siamo diventati genitori.*

I papà canadesi prendono il congedo di paternità. Delle quattro famiglie adottive con cui abbiamo viaggiato per l'adozione, due mamme hanno preso il congedo parentale totale, un papà (il Teodolindo) ha diviso il congedo parentale con la sua coniuge (me), e uno - di professione ingegnere- si è licenziato per poter stare a casa due anni e permettere a sua moglie di finire gli studi da infermiera.

I papà canadesi portano i bambini all'asilo. Fanno i turni con le mamme e, nella stragrande maggioranza dei casi, un genitore li porta e l'altro li va a prendere. Ma ci sono anche genitori, come il papà dell'amico del Sig. Tenace, che fa tutto lui sempre, tranne il mercoledì. Conoscono tutto dei loro figli: cos'hanno mangiato a colazione, quando hanno fatto la cacca, come hanno dormito di notte, quali vestiti mettere (tranne il Teodolindo che a volte dimentica i guanti e prima o poi avremo i figli amputati per congelamento).

I papà canadesi, quando all'asilo vengono chiesti dei volontari per accompagnare i bambini in gita o al pattinaggio, ci sono, quanto le mamme se non di più. Due papà, evidentemente appassionati non solo di hockey ma anche dei loro figli, si erano presi il martedì mattina di ferie per tutto l'inverno per poter partecipare all'attività sui pattini.

I papà canadesi partecipano ai gruppi sui social network. Non esistono gruppi whatsapp per "mamme" e le maestre non si rivolgerebbero mai solo alle genitrici, perché escluderebbero metà di chi legge e scrive. L'anno scorso una giovane mamma appena sbarcata a Montreal dall'Italia ha creato un gruppo facebook chiamato qualcosa come "Mamme italiane a Montreal". Cercatelo, non lo troverete più perché le si è fatto cambiare nome dopo cinque minuti facendole notare che "Ciccia, occhio, non hai capito bene come girano le cose da questa parte del mondo!".



Quando è nata la SignoRina, pensavo oramai di aver capito tutto sui papà di Montreal, e invece la cultura italiana matricentrica era ancora ben radicata in me e ho avuto di nuovo occasione di sorprendermi.

I corsi pre-parto sono per entrambi, mamme e papà. La spiegazione è abbastanza semplice: se non sapete cosa capita di preciso, prima durante e dopo il parto, come potete essere di aiuto? Non solo, il papà può fare la differenza durante il parto, se è ben preparato.

I papà canadesi sono caldamente invitati a fermarsi in ospedale almeno una notte dopo il parto, per aiutare la partoriente, ma possono stare anche più notti fino alla dimissione.

Vado al centro allattamento, credendo a quel punto di trovare solo mamme. Dai, cosa c'è di più esclusivamente femminile? No, trovo donne sole e altre con i loro compagni. Io ero lì seduta su una sedia a dondolo e origliavo, curiosa di sapere cosa mai avessero da chiedere questi uomini al centro allattamento. Perlopiu erano domande di chi voleva capire, ma in alcuni casi sembrava che i papà volessero semplicemente essere lì, accanto al loro figlio e alla loro compagna.

E anche a questo giro, non piu di genitorialità adottiva ma biologica, anche i papà prendono il congedo parentale. Come il Teodolindo, che si è goduto gioie e dolori di SignoRina per cinque mesi dopo i miei primi sei, o come il nostro vicino, che è stato a casa nove mesi, dopo il primo trimestre preso dalla mamma, perché lei era quella con il salario più alto in casa e si sono fatti due conti.

I papà canadesi portano i bambini dal dottore. Da soli. Non deve per forza esserci la madre. Lunedì la SignoRina doveva fare dei vaccini e il Teodolindo mi dice: "La porto io, mi sono già organizzato". Io: "Guarda che posso andare anch'io, non è un problema". Lui insiste,"No, ci vado io. L'ho vista poco la scorsa settimana. Poi lo sai che mi piace consolarla quando piange!" (sì, lo so).

Infine, mi iscrivo ad un corso di portage, per imparare a trasportare la SignoRina nella fascia. Devo dirlo? Otto persone, cinque madri e tre padri.



Quindi, in tutto ciò, mi girano i coglioni a manetta - scusate il francesismo - quando capitano cose come queste, in cui un giornalista, nella progressista ma evidentemente ancora molto vecchia Inghilterra, critica e ridicolizza Daniel Craig, l'attuale James Bond, reo di portare in giro sua figlia nel porte-bebé. La voce maschile che dice "No, 007, pure tu?!" e l'hashtag "emasculateBond". Capito? Addirittura viene messa in gioco la virilità.


Ora.
Vi assicuro, nessuno di questi papà di cui ho parlato sopra, Teodolindo in primis, vuole rimpiazzare le mamme. Nessuno di loro si sente minimamente scalfito nella loro mascolinità per come si occupano dei loro figli. I ruoli restano ben definiti e l'identità di genere pure. Quel che viene condiviso sono le mansioni, il carico di lavoro e l'accudimento. E soprattutto il tempo, il preziosissimo tempo che si passa con i figli e che vola via come il vento.

Mi sono piaciute moltissimo le risposte di alcuni papà al tweet di cui sopra e alcuni spunti fanno davvero riflettere (video sotto). Ho adorato il padre che dice che per lui è la paternità a definire la mascolinità. Mi ha fatto pensare l'altro papà che riporta quanto la sua capacità genitoriale fosse stata messa in discussione quando ha deciso di viaggiare solo con la figlia, cosa che non capita con le madri.



Ieri sera ho fatto leggere la bozza di questo post al Teodolindo per avere il suo parere e il suo consenso, visto che parlo di lui. Sinteticamente, lui ha concluso così:
"Mah, ti dirò, prima di tutto, il motivo per cui io faccio quello che faccio è semplicemente perché mi piace tantissimo". Fine della storia.
E abbiamo le prove che a questo papà piace tantissimo quello che fa, perché il Teodolindo è negato per le fotografie, si dimentica di immortalare anche i momenti più importanti, ma gli unici selfie che si fa sono quelli quando ha sua figlia nel porte-bebé (o quando lui e il Sig. Tenace vanno a tagliarsi i capelli, ma questo è un'altra storia).

Questo papà vuole metterci la faccia. La SignoRina invece preferisce rimanere in incognito.

Evidentemente non teme che l'essere il padre che è possa intaccare in alcun modo la sua mascolinità e a noi piace da morire.







*Può darsi che le cose siano cambiate in Italia da quando io mi sono trasferita, quindi su quei papà, quelli italiani, non posso pronunciarmi perché non li conosco nel quotidiano.





Tuesday, October 9, 2018

Seconda casualità?!

Di nuovo. È successo di nuovo.
Notte terribile, con la SignoRina che si è svegliata sei volte (6) e che stamattina alle 5.15 sembrava proprio in forma per iniziare la giornata. Lei, noi no. Alle 4.58 si era pure svegliato il Sig. Tenace chiedendo: "È già giorno? Ma quando diventa giorno?!". Ai nostri figli piace approfittare appieno delle loro giornate, non ci sono dubbi. 
Il Teodolindo ed io ci siamo impegnati per convincere la prole a dormire ancora almeno un'ora e quando abbiamo riaperto gli occhi erano le 6.45. Tardi! 
Così di nuovo ho fatto una colazione al volo, ho preso il Sig. Tenace, l'ho mollato a scuola alle 8.28 (inizia alle 8.30 in punto) e sono poi arrivata in ospedale alle nove.

Alle nove e cinque, la mia tecnica di radiologia preferita, e mio angelo custode - a questo punto non ci sono dubbi - mi lascia sulla scrivania una fetta di torta fatta da lei e una tazza di caffè macchiato. 
"Per favore, non dirlo a nessuno, mangiala qui nel tuo studio perché ne ho portata una fetta solo per te e non voglio che gli altri si offendano! È quella che piace a te e che non piace ai miei figli, con datteri, noci e farina integrale*" (i figli non capiscono un tubo...).
Ah, nessun problema. Me la sono spazzolata nell'intimità del mio sgabbiotto senza finestre, gustandone la morbidezza, le noci croccanti, il dolce dei datteri. 



Ora, tutto ciò non può essere casuale. Propongo due ipotesi, aggiungetene pure se ne identificate altre:
1) gli angeli esistono, con concentrazione significativamente elevata nella regione metropolitana di Montreal;
2) ho l'aspetto così sfatto e provato dalla vita e dalla mancanza di sonno che faccio pena a tutti quelli che mi vedono e che si sentono quindi in dovere di prendersi cura di me.
Adesso che ci penso, in ogni caso, l'opzione 2 coincide con la definizione di angelo, no? Quindi forse di possibilità ce n'è giusto una...

Resto perplessa. Perplessa e sfamata. 



*domani se riesco posto la ricetta della torta, nel caso vi interessasse. 

Friday, October 5, 2018

Quelle casualità che non possono essere solo casuali

Mi capitano queste cose, che sembrano totalmente casuali, ma che mi lasciano il dubbio su quanto possano essere solo coincidenze dovute al caso, da quanto sono perfette.

Venerdì mattina, esco di casa di corsa dopo aver fatto una colazione al volo. E io detesto fare la colazione al volo, mi mette di cattivo umore e divento l'incarnazione di quella stupenda definizione inglese di hangry, che in italiano si può tradurre con "affabbiata"?
Ad ogni modo, esco di corsa, con i capelli ancora umidi e fuori ci sono 4 gradi, mollo il Sig. Tenace a scuola, in ritardo, poi vado al lavoro sempre correndo perché ho un incontro con uno studente di primo mattino. 

E lo studente arriva con questo:



"Ieri sera avevo voglia di cucinare una torta, e a quel punto mi sono detto: perché una sola? Ne faccio due e ne porto una a Roberta!".
E così mi ritrovo con un intero plumcake al limone e olio di oliva, profumato, fragrante, soffice come una nuvola, che si scioglie in bocca. Tutto per me. 
Credo che lui si sia accorto di quanto fossi felice dal sorriso che mi arrivava alle orecchie e dal mio tono di voce nel dire grazie che ha sfiorato gli ultrasuoni.

Ma capita solo a me?

PS il plumcake è questo, per chi volesse provarlo. Una delizia. 

Wednesday, August 29, 2018

Di dinosauri e separazioni

Oggi primo giorno di scuola per il Sig. Tenace. Primo giorno nella scuola dei grandi. E di
"grande" ci sono state molte cose: i pantaloni della divisa, lo zaino, i bambini delle classi più avanti, e soprattutto l'emozione.
Io lo sapevo, conosco il mio pollo, e stavolta sono arrivata preparata. Ieri sera, quando la casa era ormai silenziosa (giusto per 45 minuti, perché poi la SignoRina si è svegliata, che vi credete...), ho preso un cartoncino di misura tascabile, mi sono seduta al tavolo della cucina e, ben consapevole della passione sfrenata del mio bambino per i dinosauri, ho prodotto quello che credevo sarebbe stato il mio asso nella manica questa mattina.

Come da copione, il Teodolindo ed io accompagniamo il Sig. Tenace alla sua nuova scuola. Solo volti nuovi, genitori e bambini che riempivano il cortile, le maestre sconosciute: l'emozione ha lasciato posto alla paura e il Sig. Tenace ha iniziato ad essere vistosamente preoccupato. Si stringeva a noi ed ho capito che era arrivato il momento

"Sig. Tenace, guarda. Ho una cosa per te"



"È mamma dinosauro con il suo bebé dinosauro e il cuore pieno dell'amore che li tiene uniti anche quando sono lontani e si ha paura. Te lo puoi tenere in tasca e tutte le volte che oggi ti senti triste lo tiri fuori, lo guardi e ti ricordi che la tua mamma dinosauro ti vuole sempre bene, anche quando non è lì con te."
Avevo quasi gli occhi lucidi mentre parlavo e mentalmente mi davo una pacca sulla spalla autocongratulandomi per questa chicca che ero riuscita a pensare.
Lui lo guarda, senza parole. Ho fatto centro, mi dico.
Poi mi guarda. Poi guarda di nuovo il disegno.
"Grazie mamma. Stasera però me lo rifai meglio, perché mamma diplodoco non l'hai mica disegnata tanto bene!"

Lezione di umiltà. Ciapa lì e porta a ca'.



Sunday, August 26, 2018

Le pesche piemontesi dell'Ontario

Ci sono piatti che fanno talmente parte del tessuto di ricordi personali che non immagini che non possa essere altrimenti, che altri possano non considerarli allo stesso modo.
Tra i miei ci sono le pesche ripiene.
Non ricordo fine estate senza il loro profumo dolce-asprigno, a volte quasi alcolico. C'erano quelle che ci portavano le vicine di casa quando ero bambina: non toglievano la buccia e dava fastidio, a volte eccedevano con il Marsala, che neppure ci andrebbe. Capitava che le pesche fossero acerbe, oppure troppo mature.  Ma c'erano sempre, ogni estate, immancabili, per tutta la mia infanzia.
Più tardi ho conosciuto la versione crostata, magnifica, della mia più cara amica. Mi piaceva così tanto, che è perfino diventata una delle nostre torte nuziali.
E infine ci sono state le pesche ripiene dell'amica di mia mamma, persona a cui sono molto affezionata. Suonava il campanello di casa dei miei e neppure entrava, ma dalla porta porgeva una teglia di alluminio: "Vi ho portato delle pesche ripiene!", diceva e scappava.

Detto tutto ciò, le pesche ripiene a casa mia non sono mai piaciute. A mia mamma non sono mai sembrate un dolce degno di tale nome, e a mio padre - isolano trapiantato in Piemonte - il cibo estivo parla unicamente siciliano. Mio fratello ed io ci adeguavamo ai gusti genitoriali, fatto sta che non ricordo che le pesche ripiene, così svalutate, siano mai avanzate. Oh, manco una briciola ne restava.

Quest'estate, vuoi anche per la stagione apparentemente superba delle pesche del vicino Ontario, mi è venuta una nostalgia enorme per quelle pesche. Stamattina le ho fatte e le ho portate a pranzo da amici francesi, che le hanno accolte come una prelibata e scenica novità. E hanno voluto la ricetta.
Ecco quella che ho usato io, che è poi quella dell'amica di mia mamma, fonte fidatissima delle migliori pesche ripiene mai mangiate in vita mia:



Pesche ripiene (ricetta dell'Enrica)
8 pesche (io ho usato pesche noci dell'Ontario)
zucchero (di canna)
un uovo
amaretti, una tazza circa (senza glutine, please)
cioccolato fondente
burro

Tagliare le pesche a metà, rimuovere il nocciolo e scavarle un po' tenendo da parte la polpa tolta.
Sbattere un uovo con un po' di zucchero, diciamo 2 cucchiai? Dipende dai gusti. Aggiungere la polpa di pesche schiacciata con la forchetta, gli amaretti sbriciolati e il cioccolato fondente grattugiato. Riempire con il composto le mezze pesche e infornare in teglia imburrata per 30-40 minuti a 200 gradi. Per evitare che la parte inferiore delle pesche bruci, mettere un paio di cucchiai di acqua sul fondo della teglia.
Servire tiepide o fredde.

Poi fatemi sapere.

Sunday, July 29, 2018

Arrivo con l'ultimo treno - cap. 2

La seconda cosa magnifica che ho visto di recente è stata questa



L'ho detto, arrivo tardi, quando probabilmente tutti l'hanno già visto, ma quanto bello è questo film?
Poetico e passionale allo stesso tempo, come solo il racconto di un primo grande amore può esserlo. La descrizione di un sentimento totalizzante con tutta la bellezza e la tristezza che esso implica.

Mi è piaciuto tutto:
gli interpreti, in primis lui, Timothée Chalamet (quanto è bravo!?)





e poi la madre, che di parole ne dice poche, ma con gli occhi si esprime, e lei vede e sa tutto, anche prima del figlio;






la colonna sonora,



The first time that you touched me
Oh, will wonders ever cease?
Blessed be the mystery of love


inclusi i silenzi che ben raccontano la noia di certi pomeriggi estivi italiani;




gli ambienti interni ed esterni, che come dice il regista, sono interpreti del film quanto gli attori.



Mi ha fatto venire nostalgia dell'Italia, quella anonima raccontata in questo film, che fa da sfondo, ma senza la quale la storia non potrebbe essere la stessa.

Call me by your name è uno di quei film che a me restano in testa per giorni. Ripenso ai dialoghi e alle scene, cerco di capirle alla luce di particolari che subito non avevo notato, e quando cado in questa rimuginazione è segno che il film non lo dimenticherò facilmente.

Ditemi: voi l'avete visto? Vi è piaciuto?

Thursday, July 26, 2018

Arrivo con l'ultimo treno - cap. 1

...ma ci arrivo anch'io.
Finalmente, dopo mesi - letteralmente nove- ricomincio a prendermi del tempo per le cose che mi piacciono (e che non includono persone sotto i sei anni di età).
In questi mesi ho fatto una lista, mentale e cartacea a seconda della disponibilita di fogli, di film da vedere, libri da leggere, mostre da visitare, ristoranti da provare, agognando il giorno in cui
Le prime due cose che ho visto rientrano in pieno nella categoria "cose semplicemente belle", ma di quel bello che ti resta nell'anima per giorni e che fa venire voglia di essere delle persone migliori.

Eccole. Chi legge le avrà già viste e magari pure riviste, l'ho detto, arrivo con l'ultimo treno, c'ho nove mesi di arretrati, abbiate pazienza.

La prima è lei. Hannah Gadsby



Il suo ultimo spettacolo, Nanette, di comico ha ben poco e passerà alla storia proprio per questo. Tutto nasce dalla storia di Hannah: donna, dall'aspetto non conforme al suo genere, lesbica, nativa della Tasmania, paese in cui l'omosessualità è stata depenalizzata nel 1997, quando lei di anni ne aveva 20. Ha costruito la sua carriera di comica sull'autodenigrazione, come molti comici appartenenti a minoranze, siano queste razziali, religiose o di orientamento sessuale. Con Nanette, Hannah non ci sta più perché, come dice nello spettacolo,

"che cos'è l'autodenigrazione quando proviene da chi vive ai margini della società, come lei? Smette di essere umiltà, e diventa umiliazione". 

Hannah ora si senta forte al punto da potersi permettere di lasciare la commedia, per raccontare il suo passato per intero, e non solo attraverso la lente dell'autoironia che rende tutto più confortevole all'orecchio di chi ascolta.




E ancora, verso la fine dello show:


"I believe we can paint a better world, if we learn to see it from all perspectives, as many perspectives as we possibly could. Because diversity is strenght. Difference is a teacher. Fear difference, you learn nothing."



Il risultato di questa bomba lanciata da Hannah non è l'uscita di scena, ma l'inizio di una discussione, speriamo lunga e profonda, sul privilegio, chi lo detiene e chi, come lei e come le donne in genere, finora l'ha subito, ma ne ha abbastanza.

Lo spettacolo è da guardare e riguardare. Da soli, in compagnia per discuterne, fare delle pause e segnarsi le frasi. Se non l'avete ancora fatto, dedicate una serata a guardarlo, è su Netflix. Poi, se volete, ditemi cosa ne pensate.





La seconda cosa bella che ho visto la scrivo nel prossimo post, a breve.








Friday, July 6, 2018

Altre quattro cose sulla SignoRina. Facciamo cinque.

Ho notato che qui si parla poco della SignoRina, se non indirettamente.
Ora, la ragazza ha compiuto da poco gli otto mesi, e in questo tempo si è ben fatta conoscere da noi.
Presento quindi altre quattro, facciamo cinque, cose su di lei (le prime quattro erano queste).

1. La SignoRina non dorme. Lo so che si dice di circa il 75% dei lattanti, ma qui si tratta di un'espressione da prendere in modo quasi letterale. La SignoRina non dorme da otto mesi. Una sua notte tipo, adesso, è la seguente: per le prime quattro ore si sveglia ogni 60 minuti, dopodiché riesce a dormire per due ore di fila, poi risveglio, altre due ore e poi di nuovo sveglia e poi se riusciamo il miracolo la riaddormentiamo ancora per 45 minuti. Il Teodolindo ed io alterniamo momenti di disperazione ad altri di rassegnazione. Altre volte, con gli occhi che luccicano, ci diciamo "Tutti gli adolescenti dormono. Male che vada, dobbiamo solo aspettare 13 anni".

2. Il motivo per cui ella non ama dormire, è che le piace essere attiva. Molto. Già era un'anguilla in utero, ma da quando è uscita dalla pancia non si è mai fermata. Adesso gattona che è una meraviglia e si mette in piedi. E vuole farlo anche all'una di notte.

3. La SignoRina resta un petit format. Piccola è nata e piccola resta, pur seguendo la sua curva di crescita. Però, visto che come ho scritto poc'anzi sta sperimentando la posizione eretta, la gente al parco la vede e strabuzza gli occhi pensando robe tipo "Caspita, a 4 mesi quella sta già in piedi!?". No, di mesi ne ha 8, solo che ha già capito che il trucco nella vita è sembrare sempre più giovani.

4. La SignoRina ama il cibo biologico e a km zero. Nel senso che non ha mai preso un ciuccio, il biberon lo schifa e il cucchiaio lo rifiuta. Tutto il cibo che ha mai ingurgitato deve provenire o direttamente dal seno materno, o essere portato alla bocca dalle sue mani. Quando sono rientrata al lavoro dopo il congedo di maternità, ed è subentrato il Teodolindo, la fanciulla è stata 4 lunghi giorni senza mangiare durante la mia assenza. Nulla per sette ore. Al quinto giorno il Teodolindo disperato me l'ha portata al lavoro perche potessi allattarla. La settimana successiva, dopo aver provato inutilmente con biberon e pappe, di nuovo in preda alla disperazione le ha messo davanti alla bocca la ciotola con il cibo, come a dire "Non so più che fare, provaci te!" e lei si è autonutrita. E da allora non ha più smesso.

5. La SignoRina è socievole come un orso misantropo. Chiariamo, è un vero amore con noi tre suoi familiari più stretti, ma appena compare uno della cerchia appena più allargata, non parliamo poi degli estranei, si trasforma. Espressione severa e sguardo glaciale con quelle due perle nere che ha al posto degli occhi - unico elemento del patrimonio genetico siciliano. L'interlocutore prova a farla sorridere e lei non distoglie lo sguardo, non ammicca neppure. L'altro prova con paroline bambinesche e vocine in falsetto, lei impassibile. Alla fine colui che interagisce, si sente in soggezione e noi ci sentiamo in obbligo di giustificare la cosa "No, sai, è stanca"... In realtà, è sempre così. Se quando è nata sembrava uno scimpanzé, adesso assomiglia irrimediabilmente a Robert De Niro in Taxi Driver quando dice You talkin' to me? (00.31 sec del video).



Noi la adoriamo.

Thursday, July 5, 2018

Sport estremi

Pedalare
sotto il sole a 40 gradi già alle otto del mattino
con vento contrario
su strada in falso piano
con carrello per trasporto bambini attaccato dietro
e dentro 25 kg di puro amore sotto forma di Sig. Tenace
il quale non cessa un secondo di pormi domande disparate
a cui devo rispondere senza indugiare
per di più urlando visto che do la schiena al postulante.
Il tutto per poi andare al lavoro.

Questo è il mio sport estremo quotidiano. Altro che Spartan Race. 

Ah. Seriously, mi fate ridere.


Sarei curiosa di sapere il vostro.

Friday, June 29, 2018

Lo ius spiegato a un bambino

Non è la prima volta che il Sig. Tenace fa la stessa domanda. L'ultima volta, stamattina a colazione:
"Ma noi cosa siamo? Siamo italiani?"
"Sì, siamo italiani. Tutti e quattro."
"E perché siamo italiani?"
"Allora. Ci sono tre modi per essere cittadini di un posto: perché ci nasci, perché i tuoi genitori sono di quel posto o perché ci sei andato a vivere. Tu e la Bebewa* siete italiani perché io e il papà siamo italiani. Poi tu sei anche cinese perché il papà e la mamma della Cina erano cinesi e sei nato in Cina. E la Bebewa è anche canadese perché è nata qui. Magari presto anche noi tre diventeremo canadesi come lei."
Riflette.
Io continuo un attimo.
"Poi altra cosa è come uno si sente, perché ci sono persone che hanno il passaporto italiano, ma non si sentono italiane ed altre, ad esempio, molte altre, che si sentono italiane ma non possono ancora esserlo. Uno è quello che si sente di essere. Tu cosa sei, Sig. Tenace?"
"Io sono italiano. E cinese. E anche un po' giapponese."

Eccolo là. Credo che abbia giocato un peso la sua passione per sushi e udon. Purtroppo per lui lo ius palati non è stato ancora regolamentato giuridicamente.




*Il Sig. Tenace chiama la SignoRina così da quando è nata. Ormai ci siamo un po' adattati anche noi.

Friday, June 22, 2018

E adesso...

Per fare seguito al post precedente:
Ricetta perfetta per lo stress tossico: il parere di un esperto sul perché la politica di separazione delle famiglie di Trump provoca danni così importanti sui bambini.
"Essere separato dal genitore non è solamente un trauma, ma distrugge la relazione che aiuta il bambino a far fronte a tutti i traumi futuri".

E adesso che siamo tutti d'accordo che separare un figlio dai suoi genitori provoca un trauma che ironicamente è la madre di tutti i traumi (in inglese si chiama anche primal wound, ferita primitiva, non a caso), allora non venite mai più a dire ai nostri figli, quelli adottati, che sono bambini fortunati, perché loro quel trauma l'hanno vissuto, e non solo nessuno ammette che possa durare a lungo, ma il resto del mondo passa pure il tempo a dir loro che "Be', però vuoi mettere la vita che hai adesso?!".

Due pesi, due misure.

Tutto perché l'adozione l'abbiamo sempre sentita raccontata dai genitori adottivi o dagli enti, e mai dai figli adottati o dai genitori biologici. Il cambio di prospettiva è d'obbligo, ora più che mai.





Ci siamo capiti.

PS Che sì, lo so che chi legge questo blog l'ha capita ormai la tiritera sul perché non bisogna tirare in ballo la fortuna quando si parla di adozione, ma così volevo scriverlo ancora perché è un pensiero fisso in questi giorni... Per me, ma soprattutto per tutti i figli adottivi che rivivono un trauma aprendo i giornali.


Thursday, June 21, 2018

Le famiglie devono stare insieme

Non riesco a scrivere molto se non questi brevi appunti su una situazione che avrebbe dell'assurdo se invece non fosse stata diabolicamente calcolata al bilancino, per un ritorno elettorale.

U.S.–Mexico border.

So che anche in Italia si parla di cosa stia succedendo al confine tra USA e Messico, di come nei giorni scorsi i bambini siano stati separati dalle loro famiglie e portati in centri di detenzione per un tempo da stabilire, con modalità non chiare e con esito sconosciuto.

Si sa anche che ieri Trump ha firmato l'ordine esecutivo di mettere fine alla separazione tra genitori e figli, ma senza rinunciare alla sua politica di tolleranza zero, ergo tutti vengono arrestati da oggi in poi, ma stanno nello stesso carcere.

Soprattutto penso a quei 2300 bambini che sono stati separati e del cui avvenire non si sa nulla. Sono stati portati ovunque in giro per il paese. Bambini che arrivano sul suolo americano, vengono separati brutalmente dalle famiglie, e vengono caricati su aerei per essere portati in centri di detenzione o "accoglienza", come li hanno chiamati in alcuni casi. Il ricongiungimento sara' mai possibile?

Metto qui i link ad alcuni articoli che aiutano ad avere un'idea concreta di cosa stia capitando:
-Il racconto di un addetto ai lavori nel campo dell'assistenza all'immigrazione su come avviene la separazione.
"Non esiste un unico modo. A volte dicono ai genitori "Portiamo via tuo figlio" e quando il genitore chiede "Quando lo riavrò?" rispondono "Non lo sappiamo", altre volte dicono "E' perche tu sarai processato" o "perche non sei il benvenuto in questo paese" o "perche li separiamo dai genitori". Altre volte, non vediamo alcuna comunicazione. Al contrario, gli ufficiali dicono: "Lo porto via per fargli un bagno", e quando il genitore chiede "Dov'è mio figlio? E' un po' lungo come bagno!", rispondono "Non lo vedrai più!". A volte le madri chiedono di poter consolare i loro figli, prima che vengano portati via, ma gli ufficiali rifiutano. 
-Un avvocato esperto in immigrazione in Texas:
"Ero in una conferenza telefonica con i servizi sociali che aiutano i bambini separati. Questi piccoli non sono capaci di partecipare alle azioni di screening legale perche piangono e urlano inconsolabilmente durante gli incontri. I nostri assistenti sociali sono abituati ad aiutare i bambini a parlare dei loro traumi passati, ma qui per la prima volta ci troviamo a dover aiutare bambini che stanno vivendo il trauma adesso, nel momento presente." 

-Centinaia di bambini separati sono stati inviati a New York nel silenzio generale

-Nonostante l'ordine esecutivo di Trump, per molte famiglia l'incubo e' appena cominciato.
"Alcuni genitori di questi bambini sono gia' stati deportati. Alcuni bambini sono troppo piccoli per parlare e potrebbero perfino non sapere da dove arrivano o come si chiamano i loro genitori. La maggior parte non parla ne' inglese ne altre lingue parlate negli USA.
Il trauma inflitto a queste famiglie e' irreparabile e risolverlo sara' un incubo logistico. Ma la cosa piu triste e' che non doveva accadere.
Questa e' stata una crisi che l'amministrazione Trump ha deliberatamente scelto di creare, supportata da molti alleati politici per spingere l'agenda anti-immigrazione."

Se come me, leggere e scandalizzarvi non vi sembra abbastanza, vi invito a fare una donazione ad una di queste associazioni che si occupano di diritto di immigrazione:


E a protestare.










Friday, June 1, 2018

Quando uno di noi passa la notte in ospedale...

...e quando quel qualcuno è la Kinta, si tratta di un evento eccezionale. 

La Kinta, miglior amica del Sig. Tenace da ben tre anni, sua compagna di ogni notte, quinto membro della nostra famiglia, viaggiatrice con noi ovunque in giro per il mondo, dicevo la Kinta mostrava da tempo i segni di questi tre anni avventurosi e un intervento di chirurgia estetica si rendeva sempre più necessario.
Fortuna vuole che non troppo lontano da casa nostra ci sia un ospedale per i pupazzi.

Raplapla - hôpital pour personnes en tissu


Un ospedale serio, eh, mica un gioco.

La dottoressa cura tutto: emergenze, chirurgia dell'occhio, overdose di detersivo, incidenti causati da fratelli,...
Il "paziente" si deve presentare accompagnato dal proprietario, che è colui con cui la dottoressa valuta la diagnosi e l'intervento. 
"Se il genitore vuole rifare tutta l'imbottitura, ma al bambino piace che il suo peluche sia più molle, io ascolto lui!".
E così ha fatto con la Kinta e il suo padrone. Il Sig. Tenace ha potuto toccare con mano l'imbottitura che andrà nella pancia della Kinta e dare la sua approvazione. 

Il Sig. Tenace fuori dalla clinica

Tutto era programmato, visto che bisogna prendere appuntamento, e il Sig. Tenace ha potuto prepararsi alla separazione di una notte. L'intervento infatti, per nostra fortuna, non dovrebbe richiedere una degenza prolungata.
 
I letti d'ospedale con tanto di cartella clinica. La nostra beniamina occupa il numero 7.

Il Sig. Tenace sistema il lenzuolo sulla Kinta. In primo piano i due occupanti del letto 4.


E infine la Kinta in attesa del chirurgo. Da notare, hanno dato anche a lei un pupazzino gufo per tenerle compagnia.

La separazione, nonostante tutto, non è stata completamente indolore. Il Sig. Tenace era visibilmente emozionato. Le ha rimboccato le coperte più volte e, quando siamo usciti ed eravamo già in bici, mi ha fermata: "Aspetta! Non ho detto alla Kinta che torniamo a prenderla domani!"
Io ci ho provato: "Gliel'ho detto io, andiamo!"
"Come gliel'hai detto tu?! Non ho sentito"
"Gliel'ho detto in inglese See you tomorrow!"
"Lei non capisce, torniamo indietro"
Ho dovuto girare la bici per permettere al Sig. Tenace di rientrare per un'ultima coccola.
Oggi pomeriggio andiamo a prenderla, sempre che la paziente non abbia avuto complicazioni e non sia dimissibile.

Ieri quando ho chiesto alla dottoressa quanto ci sarebbero costati l'operazione e il ricovero, sono rimasta stupita da quanto economico fosse. 
"Sa, rispetto a voi medici" mi ha detto "qui noi risparmiamo sull'anestesia!" ;)






Monday, May 28, 2018

Questione di aspettative

Da cinque settimane il Teodolindo è in congedo di paternità e lo sarà fino a fine agosto.
Le sue aspettative sono cambiate con il tempo.

Tre mesi fa: "Quando io sarò in congedo, mi piacerebbe ridipingere la scala" (ehehehe, era il mio sorrisino che sottintendeva "vedremo...")

Quattro settimane e quattro giorni fa: "L'obiettivo di oggi è stato riuscire a mettere il mio piatto nella lavastoviglie". Lo so, lo so. 

Oggi: "Scusa, la casa è un disastro, ma lo sai, il lunedì è sempre un giorno duro con la SignoRina". Non ti preoccupare, ci sono passata anch'io.

Cioè, voglio dire, già solo per questo ridimensionamento delle aspettative e per il mettersi l'uno nei panni dell'altro, il congedo parentale andrebbe sempre condiviso.

Tuesday, May 15, 2018

La cosa che più mi manca dell'Italia

Non è la pizza.
Non è la mozzarella.
Non è il clima.

Sono loro.
È lei.

L'eleganza degli uomini italiani.





Ahhh.
Ditemi, o voi che leggete, se non sono magnifici. Mi sembra anche di sentire il profumo di dopobarba.


È qualcosa di naturale, per nulla pretenzioso. Sanno vestirsi e ci tengono a farlo. Indipendentemente dall'età, dall'estrazione sociale, dal luogo in cui vivono, dal lavoro che fanno. Sanno apprezzare un bel maglione, per non parlare di un completo giacca e pantalone. Sanno quando vestirsi di lana o di cotone o di lino. Anche il jeans è indossato sapientemente. Nulla è lasciato al caso. Sanno che anche per andare a comprare il giornale la domenica mattina in edicola ci si veste decentemente. E "decentemente" per l'uomo italiano equivale a quel che nel resto del mondo è uno standard altissimo.




Pensate che vostro padre o vostro cugino o vostro marito si vestano male? Pensate che quest'attitudine non si applichi a chi conoscete?
Voi. Non avete. Idea. Se non siete stati qui in Canada o negli Usa (ok, eccezion fatta per NYC), voi non sapete cosa voglia dire vedere uomini a cui non interessa l'abbigliamento e lo stile. Qui letteralmente gli uomini per lo più si vestono per coprirsi, salvo rare eccezioni che mi fanno voltare per strada, e spesso sospetto si tratti di italiani.

Anni fa, forse ero qui da appena un anno o due, una segretaria sulla cinquantina mi raccontò di essere stata in vacanza in Italia con suo marito. "Sai cosa mi ha colpito di più?", mi disse, "Gli uomini. Sono tutti così... così effeminati! Con la sciarpa al collo, e la camicia,... e poi profumano!". Pare che il marito non si capacitasse di come facessero a essere così attenti e soprattutto si chiedeva come mai lo fossero. Capito? La cura di sé vista in modo dispregiativo.





Il problema è che l'eleganza degli uomini italiani credo che in parte sia innata, ma molto sia influenzata dal contesto. Se attorno hai colleghi, amici, parenti che si vestono bene, tu pure ci stai più attento. Quando ho conosciuto il Teodolindo, mi aveva colpito proprio la cura con cui si vestiva. Ricordo ancora, e pure lui, cosa indossasse al primo appuntamento. E anche al secondo. Non troppo elegante, ma sicuramente ricercato e attento ai particolari.
E ora? Ora... è una dura battaglia. Se ne accorge che gli standard con cui si confronta sono molto più bassi e si rende conto che a volte perde colpi. Quando poi torna in Italia è come con la bicicletta - non ti dimentichi come si pedala - ed allora eccolo che arriva la crisi di identità ed escono frasi come "Non ho niente da mettere", "Sono sciatto", "Ho solo vestiti vecchi, dobbiamo andare a fare spese".

E puntualmente torniamo a Montreal con le valige piene e con un vestito, se non due, di Boggi, comprati all'aeroporto.






Tutte le immagini sono prese dal sito di The Sartorialist.






Wednesday, May 2, 2018

Italiani quanto basta

Oh, continuiamo la chiacchierata iniziata qui da me e proseguita qui da Alice. Se volete unirvi, sedetevi comodi, prendete una tazza di tè e partecipate alla ciacolata.  

Qualche settimana fa sono andata in consolato per ritirare il passaporto italiano della SignoRina. Come spesso capita quando vado in consolato, ero ambivalente: quasi eccitata all'idea di avere finalmente tutti e quattro almeno un passaporto in comune, nostalgica per il toccare un po' di suolo italiano, scoglionata perché non sai mai cosa può capitare in termini di sorprese burocratiche.
Quel giorno ero particolarmente di buon umore. Dovevo solo ritirare il documento, quindi mi sono seduta nella sala d'aspetto che ormai conosco bene. Ho dato una rapida occhiata ai soliti due poster appesi al muro, uno con un panorama della costiera amalfitana, l'altro del lago Maggiore, e ho scelto la sedia che meglio mi facesse vedere la televisione su cui andava in onda la Prova del Cuoco.



Due paesaggi, la voce di Antonella Clerici, la preparazione di pasta fresca ripiena e l'accento romagnolo del cuoco in gara. Tutto era familiare al punto da neanche accorgermene. 
Finché non sono entrati. Altri due italiani. Sicuramente italiani, avevano il passaporto. Erano lì in consolato come me. Nel nostro consolato italiano.
Solo che uno dei due, donna, non parlava italiano. Parlava solo inglese e chiedeva informazioni riguardo a determinati documenti. 
L'altro parlava un italiano stentato misto a termini dialettali di qualche parte del sud Italia. Suo padre era morto e non sapeva come comunicarlo al comune di origine: "Non l'ho uscito quel documento", "Non l'aggio ancora sbrigato". 

Anni fa mi avrebbero irritato e avrei pensato con stizza e superiorità che quei due non erano italiani. Sì, va be', avevano il passaporto, ma non erano italiani veri. Non come me. 
Poi, conoscendone qualcuno, di quegli italiani di seconda o terza generazione, ho capito che spesso sono più affezionati all'Italia di me, che ci tengono al mantenimento delle tradizioni, hanno l'orto in cui piantano zucchini e melanzane, fanno ogni anno il sugo di pomodoro in casa per l'anno a venire, e venerano il pranzo della domenica come un'occasione immancabile per ritrovarsi in famiglia. Si sposano spesso tra italiani, loro, e vivono tutti o a little Italy o a St. Leonard, che è il nuovo quartiere italiano di Montreal. Sanno chi è Renzi e chi è Salvini e vanno a votare. Li conosco, dicono "cotto" e "butti" invece di cappotto e stivali (da coat e boots), cantano le canzoni dei Ricchi e Poveri e quelle di Toto Cutugno.  

Ma chi sono io per dire chi è italiano veramente? Per giudicare chi ha diritto di sentirsi tale? 
Oggi penso che, passaporto a parte, ognuno è quello che si sente di essere. 



Quel giorno in consolato un lampo mi ha attraversato la mente.
I miei bambini. Quella SignoRina di cui stavo per ritirare il passaporto e che per ora è ancora solo canadese, lei diventerà così? Sarà vista così dagli italiani nati in Italia? 
E il Sig. Tenace? Su, facciamoci una risata: quale italiano d'Italia lo considererà davvero italiano? Ok, parla italiano, ha il passaporto e una famiglia italiana, ma è nato in Cina ed è asiatico, su questo non ci piove. Quante volte si sentirà dire "Ma tu di dove sei? Ho capito che sei italiano, ma veramente di dove sei?"

Entro in una spirale.
Guardo i due poster. Io non ho bisogno di leggere la scritta sotto per capire dove sono quei luoghi, ma per i miei figli? Saranno posti esotici? Il Sig. Tenace non sapeva neanche cosa fosse Milano fino a qualche tempo fa...

Ancora più giù nella spirale.
Penso a quando il Sig. Tenace gioca ad essere un uovo e mi dice: "Mamma, pondami!" (pondre un oeuf, in francese) o quando canta Tanti auguri a te dicendo "Bonne fete to you!". Io sorrido, illusa del fatto che la lingua italiana gli scorra dentro e gli sia innata come lo è per me e per suo padre, che neanche ci rendiamo conto di quanto ci sia letteralmente "madre" lingua.

E poi in fondo alla spirale, il solito pensiero. 
Loro si sentiranno sempre fuori luogo ovunque. Noi ci facciamo il culo perché loro possano essere cittadini del mondo e sentirsi a casa tanto qui, quanto in Italia e, per uno dei due, pure in Cina, ma la verità vera è che loro, in ognuno di questi luoghi saranno sempre un po' stranieri. Non completamente Canadesi, perché figli di immigrati, non completamente italiani perché in Italia non ci avranno vissuto, non completamente cinese perché cresciuto in una famiglia italiana. 

Io e il Teodolindo abbiamo fatto la scelta di vivere altrove, forti dei nostri piedi ben piantati nelle radici italiane con cui inevitabilmente ci accordiamo come con un diapason. Ma loro? Abbiamo puntato sulle opportunità che questa scelta offre loro in termini di esposizione a più culture e lingue e di un paese come il Canada che fa della diversità la sua forza. Ma gli abbiamo tolto un'identità chiara. 
Dovranno farci i conti, loro.
Come in un bassorilievo, dovranno costruire la loro identità e la loro bellezza sull'equilibrio tra i pieni e i vuoti. 







Friday, April 27, 2018

Il potere terapeutico dell'accendere il forno (titolo corto)

Il titolo lungo è
Il potere terapeutico dell'accendere il forno per poter poi sentire il profumo di torta che cura ogni male e soprattutto fa sentire meno la stanchezza di oramai troppe notti insonni e della ripresa del lavoro.

E con questo ho praticamente scritto il post. Manca solo la ricetta, che ho trovato girovagando su instagram. Ho visto queste tortine, chiamate Black and White Cupcakes, ho dato una rapida occhiata alla ricetta e, con mia sorpresa, l'ho trovata semplice e rapida.
Ho pensato
"Forse ce la posso fare anche tenendo in braccio la SignoRina",
la quale SignoRina è uscita finalmente dal quarto trimestre, ma, da quando sono rientrata al lavoro e l'ho mollata al Teodolindo per i prossimi mesi, non appena mi vede varcare l'uscio al mio ritorno  mi si attacca come un mitile allo scoglio e non mi molla fino al mattino dopo.
Comunque, un brivido di adrenalina mi lungo la schiena, mentre ho detto tra me e me
"Vuoi vedere che riesco a sfornare delle tortine? Così sciué sciué alle 5 del pomeriggio mentre il Teodolindo è uscito per recuperare il Sig. Tenace? E loro rientrano e con meraviglia si accorgono che domani a colazione si mangia roba buona?"
Detto fatto.

Tortine che raffreddano. Qui il profumo, di crema di ricotta e cioccolato, era magnifico. 


Voila la recette, sans gluten, ça va sans dire. Per la versione con glutine, usate farina bianca al posto del solito mix, ma secondo me ci perde di gusto.

Tortine bicolore ricotta e cioccolato

Per la crema
175g di ricotta
una tazza* di gocce o scaglie di cioccolato
un uovo
1/2 tazza di zucchero grezzo di canna

Per la base
1 tazza e 1/2 di farina (1/2 di farina di riso bruno, 1/2 di amido di tapioca, 1/2 di farina di grano saraceno)
1/4 tazza di cacao amaro
1/2 tazza di olio di cocco, sciolto (o in alternativa burro, sempre sciolto)
1/2 tazza di zucchero grezzo di canna
1 tazza di acqua tiepida
1 cucchiaino di lievito
un pizzico di sale

Per prima cosa preriscaldare il forno a 180 gradi e imburrare e infarinare una teglia per muffin, quella classica con 12 stampi.
Preparare la crema, amalgamando bene la ricotta con l'uovo e lo zucchero. Aggiungere le gocce di cioccolato alla fine. Tenere da parte.
Preparare la base al cacao, setacciando le farine con lo zucchero, il cacao, lo lievito e il sale. Unire l'olio di cocco e l'acqua e mescolare velocemente.
A questo punto versare una cucchiaiata abbondante di questo composto in ognuno degli stampi da muffin e poi aggiungere sopra la crema. Io, quando mettevo la crema di ricotta, la spingevo un po' in giù con il cucchiaio, in modo che non stesse solo in superficie ma che si mescolasse un minimo alla base al cacao, diventandone il morbido ripieno in cottura (vedi foto in basso).
Cuocere in forno per 25-30 minuti o finché la crema risulti abbastanza resistente al tatto. Lasciar raffreddare completamente prima di gustare.

Altra foto della serie "la vendetta della foodblogger", con pezzo di torta impunemente sbocconcellato da me stamattina. Ma almeno si vede com'è l'interno delle tortine


E buona colazione.


*la tazza indicata è la classica "cup" americana. Io fossi in Italia userei come corrispondenza un vasetto di yogurt o un contenitore di quella capienza, all'incirca.






Wednesday, April 25, 2018

25 aprile 2018

da qui


Ci avevamo già provato due anni fa, a spiegare il 25 aprile al Sig. Tenace. Abbiamo fatto un nuovo tentativo ieri sera prima di metterlo a letto, al momento della lettura di un libro.
"Stasera niente libro, ti racconto una storia. Anzi, guarda, te la raccontiamo insieme io e il papà"
Il Teodolindo mi guarda perplesso poi però capisce dove voglio andare a parare.
Se per certi versi adesso posso raccontare e non solo cantare, come feci nel 2016, è tuttavia difficile spiegare la resistenza ad un bambino di cinque anni.
Di più.
E' difficile spiegare la resistenza ad un bambino italiano di cinque anni che in Italia ci ha messo piede una sola volta per due settimane.
Lui non ha i luoghi nei ricordi, non conosce persone che possano dire "il mio nonno...", non ne sente parlare a scuola, non vede lapidi commemorative o manifestazioni.
Il 25 aprile è per lui un giorno come un altro.
E però quanto vogliamo che lui e sua sorella crescano con una coscienza storica del nostro Paese*? Molto. Moltissimo.
Oh, ci abbiamo provato.
Abbiamo usato ogni mezzo, dalla similitudine tra i partigiani e i soldati di Mulan che difendevano il loro paese dall'invasore (e vi assicuro che fa il suo bell'effetto paragonare i nazisti agli Unni, per un bambino come il Sig. Tenace), alle immagini cercate su internet. Abbiamo provato a dirgli che noi neanche possiamo immaginarla la felicità di quella gente, quel 25 aprile di 73 anni fa.

Una partigiana sulle Alpi contro l'invasor

"Voglio vedere le foto delle battaglie!", chiedeva lui.
E allora gli spieghiamo che non erano battaglie come lui immagina, ma che la vera azione era la pazienza e la resistenza.

Pazienza e resistenza.
Ne avremo bisogno anche noi perché questi due scriccioli diventino due italiani consapevoli delle radici della loro famiglia.



PS O voi che leggete e che vivete fuori dall'Italia, e sapete chi siete, ma come fate con i vostri figli?

PS 2 Io ho trovato questo elenco di libri per spiegare la resistenza, qualcuno li conosce? Mi dite cosa ne pensate?

*che poi, il nostro Paese sarà anche il loro? Lo sentiranno loro? Questa è una delle domande che più mi tortura.

Wednesday, April 11, 2018

Di quando il Teodolindo mi fa incazzare per bene come gli altri mariti comuni mortali

Quando lascia i vestiti sul letto, anziché appenderli all'omino IKEA che ha voluto ardentemente.
Quando penso a quel dannato omino IKEA che ha voluto ardentemente e che non ha praticamente mai usato, ma che occupa spazio in camera.
Quando lascia portafoglio chiavi e telefono ovunque e non nei diversi svuotatasche che ci sono in casa, per poi prima di uscire dire "Dove ho messo portafoglio chiavi e telefono?".
Quando non risponde al telefono, soprattutto mentre ero incinta.
Quando dimentica di chiudere la porta di casa a chiave, io rientro e trovo la casa aperta.
Quando lascia le ante degli armadi spalancate.
Quando non strizza la spugna della cucina, ma la lascia zuppa di acqua sporca e detersivo sul fondo del lavello.
Quando non taglia le verdure a pezzi della stessa grandezza, per poi trovarci con patate mezze crude e altre stracotte.
Quando, ogni volta che io non ho voglia di cucinare e gli dico "Cosa mangiamo stasera?", lui, dopo averci pure riflettuto, mi propone "Pasta? O una frittata?". Da quattordici anni.
Quando sbircio mentre è immerso nel suo cellulare e vedo che legge sempre calciomercato.it o il sito della gazzetta.
Quando, ben sapendo che ha passato ore su calciomercato.it o sulla gazzetta, mi dice "Non ho proprio avuto tempo di leggere quell'articolo interessantissimo che mi hai girato oggi".
Quando va a prendere il Sig. Tenace a scuola e non gli mette i guanti e il Sig. Tenace, appena entrato in casa, mi dice "Senti, mamma, ho le mani ghiacciate!".
Quando di notte, dopo essermi svegliata tre volte per la SignoRina, gli sussurro "È il tuo turno adesso" e lui ci mette mezz'ora a cercarsi i calzini. Ogni singola notte da cinque mesi e mezzo.
Quando di notte, se mi viene in mente una cosa da dirgli e so che anche lui è sveglio, mi dice stizzito "Possiamo parlarne domani?" e entrambi sappiamo che domani non ne parleremo.
Quando prepara il prospetto riassuntivo per la dichiarazione dei redditi.
Quando crede che io non abbia idea di quanti soldi abbiamo sul conto.
Quando a metà vacanza è già di cattivo umore perché pensa che manca meno della metà del tempo al ritorno al lavoro.
Quando la sera, dopo aver messo a letto la prole, mi chiede "Vuoi che facciamo qualcosa insieme?", ma in fondo so che preferirebbe guardare calciomercato.it e comunque in ogni caso aspetta che sia io a fare proposte di cosa fare insieme.
Quando, se gli dico, "Va bene, facciamo qualcosa insieme. Cosa vuoi fare?", mi propone di guardare un documentario de La storia siamo noi. Alle nove e mezza di sera di sabato.  
Quando, se siamo al ristorante insieme, invece di guardare e ascoltare me, si guarda attorno e ascolta la conversazione del tavolo accanto.
Quando fa il passivo aggressivo. 
Quando, dopo avergli fatto un appunto, lui mi risponde dicendo "Perché invece tu... " e fa lui un appunto a me uguale e contrario. Allora mi sembra di giocare a tennis.
Quando, se non e d'accordo su qualcosa, anziché dirlo chiaramente, dice solo "Mah...".
Quando invece di litigare con me, mette in atto la sua tecnica preferita, perfezionata negli anni e da me battezzata Muro di Gomma e non coglie nessuna mia provocazione, lasciandomi esplodere internamente. Poi puntualmente, la sera stessa, sogno di picchiarlo (chissà come mai).


Elenco non esaustivo.
Ringrazio Bean far Away per il suggerimento di post. Chi volesse contribuire al tema con commenti qui sotto o con post affine sul proprio blog è il benvenuto e sarò ben lieta di leggere i vostri elenchi.